
La recente legge 219/2005 (al comma 2 dell'articolo 2) definisce “volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita” la donazione del sangue umano e dei suoi componenti. La serie di aggettivi potrebbe continuare, ma essi servirebbero comunque solo a descrivere le caratteristiche della donazione in funzione del ricevente. Nessun appellativo risulterebbe, infatti, sufficientemente adeguato a descrivere il valore (oltre che morale) che la donazione di sangue riveste ed i vantaggi che essa comporta per lo stesso donatore, poiché fino ad oggi non è stata posta adeguatamente in evidenza la correlazione clinica tra donazione periodica di sangue e riduzione del rischio di malattie croniche gravi, quali quelle cardiovascolari ed il diabete di tipo insulino-dipendente.
Le prove cliniche sui donatori
In realtà, esiste una serie di prove cliniche che dimostrano l'effettiva riduzione del rischio a contrarre una malattia cardiovascolare in soggetti che eseguono almeno una donazione di sangue l'anno. La protezione nei confronti di tali affezioni deriverebbe dai ridotti livelli di ferritina tissutale, e quindi di ferro, che sono conseguenti alla donazione di sangue periodica. È noto, infatti, che le femmine sono protette dall'aterosclerosi rispetto ai maschi, in virtù dei più bassi livelli di ferro tissutale e quindi dei più bassi livelli di perossidazione lipidica. La mestruazione e la donazione volontaria nelle donne causano una perdita ematica e quindi modulano i depositi di ferro nell'organismo. I bassi livelli tissutali di ferro proteggerebbero contro la patologia aterosclerotica per effetto di una ridotta ossidazione delle lipoproteine a bassa densità associate al colesterolo.
Grande accusato: il ferro
Donatori periodici: -86% rischio infarto
Un altro studio ha valutato, in modo più specifico, la relazione tra frequenza delle donazioni di sangue ed incidenza d'infarto del miocardio su 2682 soggetti. Nel periodo di osservazione, della durata di circa sei anni, è stato osservato che il rischio di infarto acuto del miocardio nei donatori abituali era dell'86% più basso di quello dei donatori episodici. Fattori quali l'anamnesi, lo stato di salute generale, lo stile di vita e le caratteristiche psico-sociali esercitavano una scarsa influenza su questo fenomeno.
Meno esposti anche al “diabete 2”, non insulino dipendente
Gli epidemiologi hanno da tempo osservato che la donazione periodica di sangue è associata ad una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 (insulino-dipendente). Alcuni studi hanno, per esempio, investigato la correlazione tra depositi di ferro e sensibilità all'insulina in donatori di sangue e soggetti che non hanno mai donato sangue. In uno studio su 181 individui maschi, è stato dimostrato che i donatori che avevano eseguito almeno due donazioni di sangue, presentavano una maggiore sensibilità all'insulina ed una riduzione della secrezione dell'ormone, rispetto agli individui non donatori. La donazione abituale di sangue è quindi associata contemporaneamente con un aumento della sensibilità all'insulina e con una riduzione dei depositi di ferro. Tali depositi sembrano influenzare negativamente l'azione dell'insulina anche in soggetti sani, e non solo in individui con patologie classicamente correlate ad un accumulo di ferro come l'emocromatosi e l'emosiderosi. Tra l'altro, quest'evidenza clinica impone alla comunità scientifica una revisione del concetto di “eccesso” applicabile ai depositi di ferro nei soggetti sani. Questi dati suggeriscono, quindi, che la donazione periodica di sangue può esercitare un'azione protettiva nei confronti di patologie croniche molto gravi.
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